martedì, gennaio 31, 2017

Tant* blogger che seguo scrivono post per i compleanni dei figli e noto la stessa tendenza anche su facebook, che ho iniziato a frequentare da qualche settimana per seguire un gruppo segreto (o nascosto o privato o come cavolo si chiama) e sulla cui fenomenologia forse un giorno scriverò qualcosa.
Io non voglio scrivere un post sul compleanno della piccola iena, che sarà domani, ma un post per ricordare oggi 4 anni fa: l'ultimo giorno in cui siamo stati soli in questa piccola casetta.
Mi sono svegliata al mattino con la consapevolezza che eravamo arrivati al traguardo: d'altra parte eravamo già alla 41a settimana di gravidanza e il giorno successivo sarei comunque dovuta andare in ospedale a fare il primo monitoraggio di controllo. Ho mangiato qualcosa e ho detto a mio marito di non andare al lavoro perchè nel corso della giornata saremmo dovuti andare in ospedale; in casa si respirava un'aria strana, un misto di agitazione per quello che stava succedendo, paura di quello che sarebbe stato ed eccitazione perchè finalmente dopo 9 mesi avremmo visto la nostra piccola iena. Io mi sono stesa sul divano col mio tablet e ho giocato a ruzzle tutta la mattina, supportata da mio marito che, in quanto ingegnere e parte razionale della coppia, aveva nell'ordine deciso che:
- era necessario preparare un foglio di excel per monitorare gli intervalli tra una contrazione e l'altra
- era il momento buono per stirare la montagna di panni che avevamo accumulato nel cesto perchè "chissà quando avremo tempo per rifarlo".
In quest'ultima affermazione, in realtà, l'ingegnere è stato anche profetico perchè, da allora, non abbiamo più stirato nulla, giusto le camicie. Continuando a vivere felici, tra l'altro.
La mattinata quindi è trascorsa tutta così, mi sono riposata e rilassata in attesa del momento. Abbiamo pranzato (ricordo ancora: straccetti di manzo col radicchio) e le contrazioni iniziavano a farsi sempre più forti e regolari. Pensavo. E anche il foglio di excel in effetti non mentiva.
Verso le 15,30 erano regolari ogni 5 minuti, non fortissime, però mi sembravano martellare bene, quindi ho detto "programmatore, si va". Avevo un paio di pantaloni della tuta di ciniglia dell'adidas, li avevo comprati a new york nel 2008: li ho poi macchiati di candeggina mentre pulivo la finestra della nostra camera da letto e li ho buttati. Non ho rimpianti, tanto adesso non mi andrebbero più bene :-) Non ricordo proprio invece cosa indossassi sopra. E non ricordo neanche cosa indossava mio marito, però ci ricordo esattamente entrambi sulla porta di casa con la mia borsa ikea blu e arancione e l'agenda di gravidanza in mano. Ci siamo guardati, abbiamo guardato la nostra casetta vuota e ci siamo detti che la volta successiva ci saremmo entrati in tre. E così fu.
Questo è stato l'ultimo giorno della nostra vita di prima: poche ore dopo, all'una di notte, siamo diventati mamma e babbo e la piccola iena ha portato tanto nelle nostre vite, talmente tanto che, se ripenso a quella che ero, non riesco a non chiedermi di cosa riempissi le mie giornate e le mie nottate. E sì che all'epoca lavoravo fuori Torino e stavo fuori casa 12 ore al giorno a conti fatti.
Non ho rimpianti, così come per quei pantaloni: la mia vita di prima era bella, ma non quanto questa qui. Diversa, profondamente diversa, ma non altrettanto piena. Facevo più cose: più cinema, più teatro, più musei, più vacanze, più sonno. Adesso è tutto meno: meno uscite, meno sonno, meno vacanze, meno tempo per me, meno piscina, però quante soddisfazioni, quante risate, quanta gioia nel non vedere più questa casa vuota e silenziosa. 
Quattro anni fa abbiamo salutato definitivamente quella coppia che eravamo e siamo finalmente diventati una Famiglia; eravamo felici, ma non sapevamo che saremmo potuti esserlo molto di più.


lunedì, gennaio 16, 2017

Come dite, sono già alla parte quarta della nostra vacanza berlinese e ancora non vi ho raccontato niente di Berlino? In effetti diciamo che la visita della città è decisamente passata in secondo piano, siamo stati piuttosto presi dalla piccola iena e dalla sua febbre :-(
Visto che sono ormai diventata una grande esperta di mezzi pubblici locali e attenta conoscitrice del regolamento gtt, vi racconto quali sono le principali differenze tra le due reti di trasporto. L'azienda che gestisce i trasporti pubblici a berlino si chiama BVG e la rete integra autobus, treni (sia sopra che sotto il piano stradale) e tram. Nel corso della nostra vacanza abbiamo usato treni e tram, ma mai bus, quindi su questi non posso dare nessun feedback.
Il biglietto semplice copre le zone AB, costa 2,70 euro e ha una durata massima di 2 ore. A differenza di una corsa semplice GTT però, questo biglietto non può essere utilizzato per andare e tornare, ma in una sola direzione. Puoi cambiare mezzo di trasporto, treno, tram e bus, ovviamente restando nella fascia AB, ma senza tornare mai indietro. Sono strani questi tedeschi. L'aeroporto dove siamo atterrati, Tegel, si trova entro questa fascia e con uno di questi biglietti potete tranquillamente raggiungere il centro della città usando il bus TXL che fa capolinea ad Alexanderplatz (tempo impiegato: circa 40 minuti) oppure scendendo alla terza fermata del bus di cui sopra e prendendo il treno S41/S42 alla stazione Beusselstrasse a seconda di dove dovete andare. L'unica cosa di cui non dovete preoccuparvi sono i tempi di attesa: sia il bus TXL che i treni passano spessissimo: se vi va male 7/8 minuti di attesa e si va, questo ovviamente per la mia esperienza personale viaggiando sempre durante il giorno e mai di notte.
L'utilizzo della rete è gratuito per i bambini mi pare fino ai sei anni, quindi anche la piccola iena ha viaggiato a scrocco. E' consentito anche il trasporto di bambini piccoli in passeggini e carrozzine, almeno sui trami e sui treni che abbiamo utilizzato anche noi. A questo aggiungo che molti là usano come passeggino il carrettino della bicicletta, un catafalco di dimensioni interessanti che qua nessuno sano di mente si sognerebbe mai di caricare su un mezzo pubblico senza venire ricoperto di insulti pesanti.
Esistono, oltre alla corsa singola, dei biglietti giornalieri e settimanali, alcuni anche in combinazione con sconti sulle principali attrazioni turistiche della città; noi ci eravamo fatti un normale abbonamento settimanale, ma, a conti fatti, l'ho usato solo io nei miei giretti col piccolo guerriero: mio marito ha passato parecchio tempo in appartamento con la iena malata :-(
All'aeroporto, sulla banchina di attesa del bus, trovate sia macchinette automatiche che vendono i biglietti, sia addetti alla vendita, mentre in città li potete acquistare in tabaccheria. Su bus e tram è prevista anche la vendita a bordo, per la quale però è necessario avere il denaro contato: sui tram ci sono delle macchinette, mentre sul bus si fa direttamente con l'autista.
Per ulteriori informazioni e per calcolare i percorsi vi consiglio di visitare il sito dell'azienda dei trasporti o di scaricare l'utilissima app tramite la quale, creando un account, è anche possibile acquistare i titoli di viaggio.
Chiudo questo post di pubblica utilità dicendo che, per me, camminare e usare i mezzi pubblici sono gli unici due modi per girare e conoscere davvero una città. L'auto, magari, ti permette di raggiungere velocemente la meta, ma non ti fa godere il viaggio, che diventa solo un inutile intoppo tra la partenza e l'arrivo. Camminare col naso per aria o osservare le case che corrono dal finestrino di un tram invece ti fa percepire la città in modo diverso, si imparano i nomi delle strade, ci si orienta più facilmente. Ci si sente cittadini e non solo turisti. E questo l'ho imparato per la prima volta qui a Torino.

venerdì, gennaio 13, 2017

Buon anno ai miei pochi fedelissimi lettori, mi piacerebbe promettervi di essere un po' più costante nella scrittura, ma non faccio mai promesse da marinaio :-) me lo pongo come impegno per il 2017 e speriamo di riuscire a rispettarlo.
Ho un post su Berlino ancora a metà, avevo iniziato a scriverlo proprio il giorno dell'attentato e mi è un po' passata l'ispirazione: pensare che la settimana prima eravamo proprio lì mi ha messo un po' di magone.
Magone che oggi voglio cacciare con queste piccole riflessioni su cose che mi sento dire spesso e che qualche giorno fa mi hanno fatto venire in mente che potevo usarle per un post.
Il piccolo guerriero ha compiuto 7 mesi, è un bimbo molto diverso dal fratello ienoso e sicuramente io non sono la stessa mamma di tre anni fa. Fatto sta che il guerriero è un essere sociale e socievole, ma, come è giusto che sia, è molto legato a me, che ancora adesso lo porto a spasso esclusivamente legato al mio petto con la fascia e che rappresento la sua principale fonte di sostentamento. Per me come persona è un lavoro sfiancante e sfinente: il guerriero pesa 9 kg e ogni tanto vorrei poter uscire sola nel mio cappotto e questo allattamento a richiesta di giorno e di notte a volte è davvero pesante.
Per me come mamma è un lavoro molto gratificante e pieno di soddisfazioni: il mio ometto è molto sveglio, reattivo, vorrebbe già suonare la batteria della iena, è sempre sorridente e quando siamo in giro quasi sempre tranquillo.
Eravamo in ospedale per un esame e, mentre aspettavamo il referto, l'ho allattato in sala d'attesa. L'ho fatto per tranquillizzarlo soprattutto in vista del fatto che l'avrei messo nella fascia e che che saremmo dovuti tornare a casa e lui era piuttosto stanco e quindi meno gioviale del solito.
Nel momento esatto in cui ho iniziato a sbottonarmi è partito il coro dei solito "poverino aveva fame, ma guarda che carino, ma senti come ciuccia (adesso che è un po' raffreddato fa un rumore impossibile da non notare)"; la cosa che mi diverte sempre è che questi commenti vengono fatti a voce non così alta da poter dire che siano rivolti decisamente a me, ma neanche così bassa da non farmeli sentire, quel tono di mezzo insomma di chi vuole e non vuole farsi capire. La sala era popolata di altri bimbi piccoli, diciamo range 0-12 mesi, e io ovviamente ero l'unica mamma senza il corteo di accompagnatori; dopo aver giocato a "quanti mesi ha", è partito il secondo coro. Ah sei proprio fortunata a poterlo allattare ancora adesso, ah che fortuna avere il latte, certo che è una bella comodità, mia figlia purtroppo non è stata così fortunata, ...
Finiamo la nostra poppata, ci rivestiamo, rimetto il guerriero nella fascia, raccolgo le mie cose e mi preparo a partire. E vai col secondo coro "Certo che sei fortunata che tuo figlio vuole stare lì dentro, il mio nel marsupio non ci è mai voluto stare, bisogna abituarli da piccoli e bla bla bla".
Saluto cortesemente e insieme alla mia borsa, al piccolo guerriero e alla mia bella dose di fortuna lascio la sala d'attesa e mi dirigo verso casa.
Alle mamme che pensano sia solo questione di fortuna vorrei dire una cosa: è vero, sono stata fortunata, mio figlio si è attaccato subito bene al seno, di ragadi ne ho avute giusto un paio i primi giorni che sono poi guarite in fretta. Però diciamo che la fortuna va anche aiutata: per noi non esistono orari, giorno e notte, la tetta è sempre a disposizione, il ciuccio non sappiamo cosa sia e le poche volte che ho proposto un biberon col mio latte tirato mi sono sentita rispondere con una sonora pernacchia. La fortuna non si aiuta usando ciucci farciti di cose dolci, proponendo tisane a 3 mesi e usando altri metodi per diradare le poppate: meno latte viene chiesto dal bambino e meno ne produrrà la mamma. La fortuna va aiutata anche grazie a persone competenti che nei primi giorni, quelli duri dell'avvio dell'allattamento, sanno darti consigli giusti e aiutarti nei momenti di difficoltà. E poi ci vogliono un po' di sana convinzione e di forza di volontà: se da migliaia di anni tutte le mamme lo fanno lo posso fare anche io, e dai dai dai.
Sulla questione del portare oggettivamente non sono molto preparata, quello che però posso dire è che un bimbo ha bisogno di contenimento e di contatto e quello è un ottimo modo per darglielo. A nessun bambino invece piace essere appeso per i genitali in un marsupio non ergonomico, a voi piacerebbe? Portare i propri figli è un'esperienza bellissima anche per i papà: prima di lanciarsi nella mischia meglio documentarsi per capire come farlo al meglio.
Io la mia fortuna ho cercato di costruirla pezzetto dopo pezzetto, con pazienza e dedicandole del tempo, chiedendo aiuto alle persone che ritenevo giuste in quel momento e facendomi passare sulla testa i giudizi e i commenti di molti.
La prossima volta che vedete una mamma che allatta, una mamma che ha il figlio addormentato nella fascia, una mamma che porta un bimbo sorridente, una mamma serena che fa la spesa con suo figlio, una mamma che consola il proprio figlio, una mamma che cerca di fare la mamma meglio che può, ecco, non pensate che è solo una donna fortunata. La fortuna aiuta gli audaci, non quelli che aspettano che le cose piovano dal cielo.