mercoledì, novembre 14, 2018

Tutto ciò che ci circonda ci invita a correre, a fare le cose in fretta, siamo perennemente in ritardo. Il tempo è importante, va sfruttato e sembra non essere mai abbastanza: c'è sempre un'urgenza, una scadenza e bisogna correre perché il tempo non torna indietro. Il 13 novembre 2018 è oggi e adesso e questi minuti che sto passando al portatile non torneranno più, nessuno me li restituirà: il tempo usato non si compra e non si vende.
E il tempo dei nostri figli? Quello, almeno ai miei occhi, è ancora più importante: avranno questa età solo una volta nella vita e mi piacerebbe che possano goderne nel modo migliore ed è anche per questo che organizzo le mie giornate in un certo modo, per far sì che ci sia sempre spazio per fare qualcosa insieme, per divertirci e poterci costruire dei ricordi, per vivere davvero.
Questa mattina ero a passeggio da sola, avevo un paio di commissioni super frivole da fare e me la sono presa comoda: sono passata da un bar che ti permette di uscire con una gigantesca tazza di te caldo da passeggio (per me la coccola massima) e poi mi sono lanciata in un paio di negozi. Il poco tempo a mia disposizione non ha portato molto frutto: cercavo due cose e non le ho trovate, ma, non so perché, mi sono messa a riflettere. Volevo scrivere un post che non fosse solo una lamentela per come funzionano le nostre scuole pubbliche, ma che mi permettesse di dare una chiave di lettura diversa dalla sterile polemica, una chiave di lettura più importante e anche più grave, se vogliamo.
La iena frequenta l'ultimo anno della scuola dell'infanzia: ogni mattina lo porto qui vicino, a 300 metri da casa, in una piccola scuolina con un un'unica sezione di infanzia e un ciclo di elementari. Io amo i piccoli numeri e la possibilità di avere una realtà di questo tipo vicino a casa era per me il massimo.
Negli anni scorsi ho iniziato a capire come funziona il mondo della scuola: soldi che mancano, servizi che latitano, attività extra a pagamento, personale non docente invadente e personale docente che non sempre è adeguato al ruolo. L'anno scolastico passato, ad esempio, la iena ha avuto una supplenza annuale da brividi e io, per cercare di mettere una pezza ad una situazione che, soprattutto dalla primavera in avanti, era diventata davvero insostenibile, la andavo a prendere prima certi giorni e certi altri non la portavo affatto a scuola. E' stata dura, ma mi dicevo "l'anno prossimo sarà tutto diverso". Solo ora mi rendo conto che le pezze messe, il tempo passato aspettando giugno e sperando che a settembre sarebbe stato meglio è stato tempo che è stato rubato alla iena, ai suo compagni di classe e a noi genitori. Tempo che poteva essere speso perché questi bambini potessero costruirsi dei bei ricordi facendo esperienze che li avrebbero arricchiti, come è giusto che la scuola faccia. E l'amaro in bocca per questa situazione purtroppo non è passato con la fine dello scorso anno scolastico perché la scuola è iniziata da due mesi e la situazione, se vogliamo, è solo peggiorata.
E' stato ed è ancora un autunno molto mite- oggi, ad esempio, fa davvero caldo- ma il cortile della scuola non è agibile perché le piante non vengono potate e i rami sono diventati pericolosi, quindi non si può uscire in giardino, ordine della dirigente. La scuolina della iena è ancora in attesa di una maestra, una persona con cui quella che è già di ruolo da diversi anni possa lavorare bene per far fare ai bambini delle belle cose, cose che li aiutino a crescere e a costruirsi il loro bagaglio di ricordi, cose che possano rendere fecondo il tempo speso a scuola. La domanda che da mamma non posso non farmi è: chi è il responsabile di tutto questo? Chi sta privando i nostri figli del loro tempo e della possibilità di poterne godere nel migliore dei modi? Posso fare qualcosa per aggiustare le cose? Quando sento racconti di belle esperienze nella scuola pubblica, lo ammetto, sono sempre un po' invidiosa: è giusto che si tratti di una specie di lotteria? E quanto altro tempo dovremo aspettare prima che la situazione si normalizzi? Spero ancora poco, qualcosa si sta muovendo, ma aspetto a cantare vittoria. Anche quest'anno sarò la rappresentante di classe: avevo giurato a me stessa che non l'avrei rifatto e invece ci sono cascata di nuovo. Un po' che non c'era proprio la lista di genitori desiderosi di coprire il prezioso incarico- strano- un po' che la situazione contingente mi ha fatto desiderare di essere in prima linea. Ho pensato anche al tempo: tutto sommato per me è molto più facile gestirlo e dedicarlo anche a questa cosa rispetto ad una mamma lavoratrice e mi fa piacere usarlo non solo per i miei figli.

mercoledì, ottobre 24, 2018


Sono un verme, verme verminoso... è da una vita che non scrivo niente su queste pagine: il problema grosso è che l'inizio della scuola mi ha un po' travolta tra problemi con le maestre e ripresa del nido del piccolo guerriero con relative crisi di disperazione (che, incrociamo le dita, da un paio di settimane sembrano decisamente migliorate) e non ho avuto particolari ispirazioni, fino a ieri.
Complici la bella giornata e la temperatura mite, ieri pomeriggio dopo l'asilo ho portato i bimbi al giardinetto con la mia taga bike.
Odio i giardinetti super affollati: c'è troppo caos e mi perdo la iena e il guerriero, che, alla fine, è più il tempo che si passano in fila o a litigare per un posto sull'altalena che altro. Ieri per fortuna la situazione era super tranquilla: coppia di nonni con bimba di 3 anni e nonno con bimbo di 5 anni. Il nonno ha fatto 200 foto alla mia bici, il nipotino invece ha giocato con la iena, mentre il guerriero cercava di spiegare alla bimba di 3 anni che il camion del giardinetto è, nello specifico, un camion dei pompieri e non un autobus come voleva fargli credere lei con l'immancabile supporto dalla nonna.
Ad un certo punto è passata di fianco al giardinetto un'allegra comitiva di giovincelli con un neo laureato dotato di apposita corona di alloro. L'ho fatto notare alla iena: "ehi guarda, c'è un altro laureato, ne abbiamo visti tanti anche nei giorni scorsi": tra pochi giorni sarà il turno di una delle mie sorelle quindi lo faccio già entrare nel mood festaiolo. La nonna della bimba mi sente e se ne esce con una battuta tipo "poveri ragazzi, non c'è molto da ridere". Mala tempora currunt, è vero, ma proprio per questo penso che sia indispensabile per le nuove leve rimboccarsi le maniche e farsi largo nel mondo del lavoro, della politica, della società civile: abbiamo davvero bisogno di loro perchè il futuro che mi ha raccontato la piccola iena lunedì sul tram possa realizzarsi. La iena sogna auto coi pannelli solari, treni volanti e nuovi pianeti da scoprire ed esplorare. Addio global warming: il mondo non sarà più inquinato e non si produrranno più rifiuti. Mi sa che siamo davvero all'ultima chiamata perchè i suoi sogni si possano realizzare e lo spirito della nonna di cui sopra non è quello di cui abbiamo bisogno.

Storia Universale (Gianni Rodari)

In principio la Terra era tutta sbagliata,
renderla più abitabile fu una bella faticata.
Per passare i fiumi non c’erano ponti.
Non c’erano sentieri per salire sui monti.

Ti volevi sedere?
Neanche l’ombra di un panchetto.
Cascavi dal sonno?
Non esisteva il letto.

Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali.
Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali.
Per fare una partita non c’erano palloni:
mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni.

Anzi a guardare bene mancava anche la pasta.
Non c’era nulla di niente.
Zero via zero, e basta.

C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare
e agli errori più grossi si poté rimediare.
Da correggere, però, ne restano ancora tanti:
rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti.

sabato, settembre 01, 2018

Una sera, nel pratone del campeggio di Monaco di Baviera dove avevamo piantato la nostra tenda, è arrivata una coppia di cicloturisti italiani, lui e lei. Ne avevamo visti tanti di campeggiatori in bicicletta, ma nessuno come loro: non avevano borse voluminose sulla bici, giusto una piccola sacca, e la loro tenda assomigliava ad un gianduiotto, solo leggermente più grande. Dopo aver montato tutto quanto si sono cambiati, hanno lavato la tuta da bici e l'hanno stesa al sole e si sono allontanati per andare a cena. La mattina dopo hanno impacchettato nuovamente le loro cose e se ne sono andati. Tanti anni negli Scout non sono bastati per portarmi a questo livello di essenzialità: avevano studiato tutto a tavolino per eliminare il superfluo e tenere solo le cose veramente indispensabili per godersi la loro vacanza che, a differenza della nostra, era soltanto il viaggio, veder scorrere il paesaggio dal sellino della bici, sotto il sole o nella pioggia, faticando su una salita o tagliando il vento in una discesa.
Stesso prato, stesso posto: il giorno dopo sono arrivate 2 motociclette: ad un'analisi più attenta sembravano proprio essere padre e figlio, tedeschi. Hanno montato la loro tenda e hanno iniziato a tirare fuori cose dalle loro borse. Molte cose. Anche due sedie pieghevoli, per dire. E lì ho capito che il superfluo magari per qualcuno è l'essenziale: loro volevano arrivare al campeggio, montare la tenda e sorseggiare una birra su una sedia vera senza bisogno di dover per forza andare al biergarten. E la loro vacanza padre figlio probabilmente era fatta anche di quello, non solo di strada e paesaggi come quella dei cicloturisti essenzialisti.
La prima volta che ho portato il programmatore in campeggio avevo optato anche io per l'essenzialità, memore delle mie esperienze scoutistiche: niente tavolo con sedie, si dorme sul modulo e si cucina sul fornelletto. Poi il programmatore ha protestato e abbiamo introdotto alcuni comfort, tipo il materasso gonfiabile e il tavolo da campeggio. Che campeggiatori siamo noi? Sicuramente dei tendaroli: nelle due settimane di vagabondaggio per l'Europa abbiamo visto camper, roulotte, furgoni allestiti come case, container e gente che ha deciso di campeggiare nella motrice del tir: non ce la potrei fare. La tenda è l'unico modo per fare campeggio, per me è l'insieme dell'essenzialitá e della libertà. Dopo cena spesso la iena e il guerriero invadono il nostro letto rivoltando coperte e lenzuoli e facendo la capannuccia dei patati: la tenda è la vera capannuccia dei patati, senza se e senza ma.
Il campeggio per noi è parte fondamentale della vacanza: quando eravamo soli l'essenzialità poteva anche andare bene perché, in fondo, in tenda tornavamo solo per dormire, ma adesso non è più così. La vita del campeggio piace ai bimbi, spesso ci sono playground, piscina e altri bambini con cui socializzare, mille soluzioni abitative diverse da osservare e un prato su cui giocare. La vacanza è metà dentro il campeggio e metà fuori, alla scoperta di nuove città e di paesaggi diversi. Abbiamo scoperto che a Ginevra e a Zurigo si può fare il bagno nel lago in città e che a Monaco, in alcuni parchi cittadini, addirittura si può surfare su piccoli salti naturali del fiume. Abbiamo camminato nel bosco sopra Trento a caccia di laghetti e imparato che la iena apprezza molto la montagna: ogni volta che ci mettevamo a sedere al tavolino a cenare o fare colazione diceva sempre che era bello farlo con le montagne sullo sfondo. Effettivamente la zona era davvero bella (questo era il campeggio, molto carino pure quello) e penso proprio che potremmo ripetere l'esperienza, magari anche per qualche giorno in più.
Ho imparato che la bellezza è, prima di tutto, negli occhi di chi guarda. E questo è l'essenziale.

sabato, luglio 28, 2018

Ovviamente sto parlando prima di tutto della mia- di eclisse- che ormai da un mese a questa parte non mi faccio più viva su questi schermi. E' stato un mese abbastanza complesso: la fine dell'asilo, una settimana di mare, qualche lavoretto in casa e luglio è volato senza che neanche me ne accorgessi. Avevo promesso alla iena grandi avventure urbane da turisti per Torino e invece ci ritroviamo alla vigilia della partenza per la nostra vacanza a puntate- come dice lei.
Parliamo invece dell'altra eclisse, quella di ieri sera. Il cielo, le stelle, i pianeti, le loro leggi e i loro moti mi hanno sempre affascinata e ieri sera mi sarebbe davvero piaciuto poter osservare la luna in tutte le sue trasformazioni e i suoi colori. Si poteva fare, alle 21,30 eravamo in macchina di ritorno dalla festa dell'asilo del piccolo guerriero e, anzichè puntare dritti verso casa, avremmo potuto allungare il giro e passare dalla collina, fermarci da qualche parte col naso per aria e ripartire verso casa. Invece no, ci siamo detti che, insomma, la luna da casa nostra la vediamo sempre e quindi avremmo potuto vederla anche dal nostro balcone. Appena arrivati a casa ci siamo subito lanciati a caccia della luna, ma più ci guardavamo intorno, più sembrava che il topino se la fosse mangiata davvero. Allora la iena e il guerriero si sono mobilitati, hanno tirato fuori i loro binocoli e costruito un improbabile cannocchiale con un tubo di cartone fissato sul drum pad di mio cognato, hanno preso le loro torce per illuminare il cielo e sul balcone abbiamo continuato la nostra caccia alla luna.
Il tempo passava e della luna rossa nessuna traccia. Mi dicevo che a quell'ora non poteva essere ancora così bassa sull'orizzonte per non vedersi da casa nostra, che doveva essere lì da qualche parte. Si sono fatte così le 22,30 e abbiamo deciso di ritirarci nei nostri appartamenti e di mettere a letto i bimbi. Mentre la iena è crollata come al solito, il guerriero ha continuato a girarsi e rigirarsi nel letto, chiedendo acqua e elargendo sorrisi, fino quasi a mezzanotte. Quando finalmente è crollato mi sono trovata sul letto col programmatore a realizzare che avevo perso la mia unica occasione di assistere a quel raro fenomeno: un'eclissi totale di luna- la più lunga del secolo- in una notte limpidissima d'estate. E lì per lì avrei voluto riavvolgere il nastro e dire al programmatore di allungare il nostro viaggio di ritorno dalla festa dell'asilo e andare a vederla per davvero la luna, perchè non ci potevo davvero credere di aver perso quel treno, di non aver visto neanche per un attimo quella luna che non sarebbe mai più tornata. Il programmatore mi ha detto che non pensava che ci tenessi così tanto e io gli ho risposto che invece non immaginavo che da casa non la riuscissimo a vedere per niente. Ma ormai era inutile piangersi addosso, il tempo era passato, i bimbi dormivano, io ero in pigiama e il meglio ce l'eravamo perso. Questo continuavo a ripetermi, quando il programmatore ha aggiunto una cosa. Mi ha detto che però i bimbi si erano molto divertiti a cercare la luna ed era vero, solo che io, in parte, mi ero persa anche quello, presa com'ero a cercare di capire davvero dove fosse finita la luna.
Era ormai mezzanotte e mezza e avevo già un piede nel letto, quando mi sono detta che no, dovevo vederla questa benedetta luna: ho aperto la porta di casa e in pigiama sono scesa per le scale del condominio per uscire dal portone: doveva essere lì da qualche parte questa luna. Ed eccola lì, non ho neanche dovuto aprire la porta a vetri per uscire sul marciapiede, faceva capolino dalla collina, dove era stata nascosta per tutto il tempo dell'eclissi. Non era più rossa, ma bianchissima, anche se si vedeva ancora una piccola ombra su un lato: incredibile pensare che fosse proprio opera nostra.
Sono andata a letto felice come una bambina la notte di Natale, pensando a tutte le occasioni perse che, sotto sotto, nascondono una scoperta.

E se vi state chiedendo se eclisse sia il termine giusto potete leggere questa nota dell'accademia della crusca; a me piace di più eclissi, ma sono partita usando l'altra variante per riallacciarmi al titolo del post, omaggio alla cantantessa (non sono riuscita a resistere alla tentazione di inserire questa pessima registrazione d'epoca di Help, che nostalgia).


lunedì, giugno 25, 2018

Avevo iniziato a scrivere questo post settimane fa. Ho cancellato tutto perchè non mi convinceva e adesso riparto dall'inizio cercando di raccogliere le idee. Il tema del giorno è la nostra vacanzina a Parigi del mese scorso, prima che finisca definitivamente in archivio.
Viaggiare in treno mi piace, ci piace: il treno ci permette di muoverci su lunghe distanza senza tenere il guerriero imbrigliato sul seggiolino (la iena ormai se ne è fatta una ragione, lui invece sembra posseduto, adesso addirittura prende a testate il seggiolino) e potendo passeggiare su e giù per il vagone nei momenti di agitazione. Il paesaggio cambia spesso e scorre veloce dai finestrini: dalle montagne con la neve ai campi in fiore, passando per le città e i laghi. Da Torino poi è davvero molto comodo (questa volta poi abbiamo fatto i signori e abbiamo raggiunto la stazione in taxi) e, comprando il biglietto per tempo e in date non sospette, si può spendere davvero una cifra ragionevole.
Muoversi in metropolitana è stato davvero semplice anche coi bimbi: la iena e il guerriero adorano il treno che corre sotto terra :-) l'unica cosa che mi sento di suggerire a chi decide di intraprendere l'impresa in famiglia è: pochissime stazioni sono attrezzate con gli ascensori e noi, alla fine, siamo sempre usciti armati di Boba e senza passeggino.
Il tragitto dalla Gare de Lyon a Disneyland con la RER dura circa 40 minuti e, all'arrivo, si trovano i bus che fanno la spola tra parco e hotel: molto comodi. Noi abbiamo usato il bus solo con le valigie: abbiamo soggiornato al Santa Fe ed era piacevole passeggiare per 15/20 minuti lontani dal traffico per raggiungere l'ingresso del parco. Del parco e dell'hotel da noi scelto magari scriverò nel dettaglio in un altro post; la doverosa premessa è che, come sapete, io adoro i parchi a tema e nel resort parigino ero già stata altre due volte, l'ultima 10 anni fa.
A Parigi abbiamo soggiornato in un appartamento molto carino, al primo piano senza ascensore, ma comunque comodo coi bimbi e ben sistemato: consigliatissimo anche per la facilità di check-in check-out.
La nostra settimana è letteralmente volata, il tempo non è stato molto clemente (vento freddo e qualche pioggia ogni tanto), però abbiamo cercato di godercela. A Parigi abbiamo dovuto fare slalom tra i giorni festivi per riuscire a vedere tutto quello che avremmo voluto, ma ce l'abbiamo fatta! Domenica abbiamo visitato la Villette: io e il programmatore ci eravamo già stati parecchi anni fa e questa volta abbiamo anche potuto goderci la cité des enfants: anche ai bimbi è piaciuta moltissimo. Ho apprezzato moltissimo la sezione coi giochi d'acqua: travasi, dighe, chiuse e chi più ne ha più ne metta. E per chi volesse c'è anche un grembiulino impermeabile :-) Anche qui abbiamo trovato un cantiere come quello di Copenaghen bello quasi come quello di Copenaghen.
Domenica sera siamo tornati a casa umidi fino alle ossa, frigo vuoto e zero voglia di uscire: abbiamo tentato una consegna con foodora e devo dire che ci è andata davvero bene. Avevo preso raviolini cinesi di tutti i tipi ed erano tutti ottimi, la iena era impazzita, adora la pappa cinese!
Lunedì avevamo in programma il Louvre: la iena voleva assolutamente vedere la Ragioconda e così siamo andati. Consiglio spassionato: sul sito del museo dice che comprando i biglietti online potete accorciare i tempi di fila e noi alla fine abbiamo fatto così perchè, appena usciti dal tornello della metropolitana, ci siamo accodati ad una fila che non sapevamo neanche dove portasse. Abbiamo fatto al volo i biglietti per il pomeriggio e siamo poi andati a piedi a Les Halles e a vedere la chiesa di Saint-Eustache, molto carina. Al ritorno al Louvre per entrare ho capito che forse non c'era neanche bisogno di fare il biglietto online: all'ingresso della piramide- quello per chi aveva già il biglietto- c'era anche una coda per chi doveva andare in biglietteria ed era assolutamente fattibile, a differenza di quella che si trova appena usciti dalla metro Palais Royal. Poi magari è stato solo un caso, però se passate di lì almeno provateci.
Martedì era il primo maggio e a Parigi era tutto chiuso e non sto parlando solo dei negozi, ma anche di buona parte dei musei. Lo sapevamo e, complice anche l'unica giornata di sole, abbiamo deciso di passare la giornata all'aria aperta per goderci qualche monumento. Siamo andati alla Tour Eiffel: dalla mia ultima visita erano sempre passati 10 anni e in questi 10 anni le nostre vite sono cambiate. Per Parigi soprattutto. Quindi io che pensavo di arrivare sotto i piloni della torre e fare un paio di foto sono stata subito smentita: la torre è tutta recintata da un enorme cantiere che porterà al montaggio di un vetro osceno che recinterà il monumento e faciliterà l'accesso dei turisti attraverso alcune porte dotate di metal detector. E ovviamente il metal detector già c'era e dopo una mezz'ora in coda siamo riusciti a passarlo e a portare la iena e il guerriero sotto la torre, ci siamo fatti un paio di foto e anche la iena ne ha volute fare un paio con la sua macchina fotografica. Io so che lo fanno per la nostra sicurezza etc etc, però, almeno io, non ho mai avvertito, durante tutte le code fatte in quei giorni per passare sotto un metal detector, un maggiore senso di sicurezza. Anzi. Ho solo pensato alla prima volta che sono stata a Parigi, ormai 18 anni fa, e a come è cambiata in questo lasso di tempo e a come sono cambiate le nostre vite da allora e non ho potuto non concludere con una riflessione amara su che razza di mondo stiamo consegnando ai nostri figli.
Comunque ci siamo poi spostati all'arco di trionfo e abbiamo concluso il pomeriggio con l'ennesima coda per poter entrare dentro Notre Dame ed ammirarla in tutta la sua magnificenza. L'ultima cena parigina l'abbiamo fatta qui: le crepes erano davvero buone e sia io che il programmatore abbiamo convenuto che avremmo potuto mangiarne una montagna :-)
La mattina dopo ci siamo diretti verso la Gare de Lyon, dove, dopo una breve attesa attorno al pianoforte, ci aspettava il nostro TGV per Torino.
Ecco tutto quello che abbiamo riportato a casa dalla nostra vacanzina parigina: posti, cose, opere d'arte, una bellissima casetta, un po' di pioggia, la magia di Disneyland, cose buone da mangiare e tanta voglia di ripartire per la prossima avventura. Cosa non abbiamo riportato a casa? Il nostro zaino: l'abbiamo dimenticato in un bar a Disneyland e quando ce ne siamo accorti era scomparso insieme alla mia carta d'identità, le mie carte di pagamento, le tessere sanitarie mie e dei bambini, le loro felpe e altre 4 frignacce senza alcun valore reale. La prossima volta staremo più attenti. 

martedì, maggio 15, 2018


L'incipit ormai è sempre lo stesso: ho due post a metà nella cartella delle bozze, un altro paio di post da scrivere in seguito alla nostra vacanzina parigina, ma stamattina volevo scrivere altro...

180000 km in 9 anni scarsi, due figli imbarcati, il vai e vieni da e per la Romagna, mille tragitti Castiglione/Torino, qualche tour lavorativo in Liguria, la pioggia, la neve, la Spagna, il campeggio, i pic nic sul sedile, un paio di botte, un family sticker che non abbiamo mai aggiornato pensando "tanto tra un po' la cambiamo" e ieri è arrivato il giorno: abbiamo lasciato al ritiro veicoli usati il Mauris e siamo tornati a casa con la nostra macchina nuova. Ancora non ha un nome, ma glielo troveremo presto: intanto ha una targa speciale- FP, come fatina&programmatore- è bianca, ibrida e super tecnologica. E' il nostro futuro e un po' ieri mi sono sentita come Claire che parte con la sua nuova Prius nel finale di serie più bello del mondo: quello di Six Feet Under (e no, non ho messo nessun spoiler alert perchè, se ancora non l'avete vista, ve lo siete meritato).
La iena, seduta sul suo seggiolino mentre aspettavamo che il programmatore ritirasse la fattura, mi ha detto "mi escono le lacrime" e ha iniziato a piangere disperatamente. E anche io forse avevo gli occhi lucidi, perché in fondo l'auto è l'unico essere non vivente che entra a tutti gli effetti a far parte della famiglia: è lei che ci porta, nella maggior parte dei casi, a vivere la vita, a costruire i ricordi, come diceva Tim Riggins nell'altra serie del mio cuore.
E' dura lasciare andare un pezzo della nostra vita che conosciamo bene, che abbiamo imparato ad addomesticare: ad occhi chiusi il programmatore l'avrebbe potuta rimettere in garage, avevamo imparato a riconoscere tutti i suoi rumori, la playlist della chiavetta usb che tenevamo attaccata alla radio, la voce robotica del navigatore che ci guidava a casa o chissà dove. Conoscevamo ogni piccola ammaccatura, ogni graffietto, ogni centimetro della sua carrozzeria grigia scura, ogni anfratto del bagagliaio dentro cui poter stipare cose quando si partiva per le vacanze. E adesso bisogna rifare tutto da capo, bisognerà imparare a conoscere questa nuova auto: sono passati tanti anni da allora, ma mi sono tornate in mente delle cose che mi scrisse il programmatore quando ancora non ci eravamo neanche mai visti e lui aveva appena venduto la sua prima auto per la Polo grigia, quella che avevamo sostituito col Mauris 9 anni fa. Mi diceva che quella macchina, a differenza della sua Uno, poneva tra lei e lui un sacco di cose elettroniche: lo diceva solo perchè non sapeva che nel 2018 ci saremmo comprati un'auto che pare un computer, che non ha più neanche la chiave da girare, il cambio automatico e un cruscotto che assomiglia più ad un videogioco che altro.
All'inizio saremo super attenti con il nostro gioiellino: niente piedi sui sedili, niente briciole, bloccheremo le porte del garage per farla andare a nanna la sera e avremo un occhio di riguardo per gli spigoli degli sportelli. Poi piano piano anche lei diventerà un membro della famiglia e impareremo a maneggiarla con più naturalezza e inizieremo a viverla per davvero, mangiando biscotti e spargendo libri e giochi sul sedile posteriore, tra i due seggiolini dei bimbi. Il programmatore sarà più sicuro alla guida e nel parcheggio e insieme andremo in posti nuovi e sconosciuti, alla scoperta del mondo e a crearci altri ricordi, perchè la vita continua anche dopo il Mauris. Per la iena ieri abbiamo lasciato in concessionaria un pezzo della famiglia: l'auto sulla quale è cresciuto, quella che metteva in garage sulle ginocchia del programmatore. E' difficile spiegargli che adesso inizia una nuova avventura, però i bambini si adattano anche in fretta ai cambiamenti, siamo noi che a volte ci affezioniamo al nostro mondo e, quando ne sostituiamo un pezzo, in fondo lasciamo anche un pezzo di cuore. E' come nel monologo di Freccia


Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa

Ce ne saranno altre belle in maniera diversa, e forse è questo quello che più di tutto all'inizio facciamo fatica a buttare giù. Come quando ti dicono "eh ma adesso che sei sposato/hai un figlio/hai due figli non sarà più come prima": certo che non sarà più come prima, sarà bello in maniera diversa.
E poi via, verso nuove avventure, con un bagagliaio pieno di ricordi e tanto posto per stiparne di nuovi.





mercoledì, aprile 04, 2018


Questa mattina ho portato il piccolo guerriero all'asilo e, dopo diversi mesi di saluti sorridenti, mi ha fatto una bella piazzata con pianto disperato e manine protese. So che adesso se la starà godendo, ma, per una mamma, vedere queste scene è sempre un po' straziante: per me, che tutto sommato me lo potrei permettere, scatta sempre la tentazione di dire "va bene dai, veniamo un'altra volta, adesso torniamo a casa".
Alzi la mano chi ama i distacchi, a chi piace salutare le persone che ama, le situazioni che lo fanno stare bene, la propria comfort zone per fare altro. Ecco, appunto.
I distacchi però a volte sono necessari, ci servono per ritrovarci dopo e per imparare qualcosa di nuovo nel mezzo. Il piccolo guerriero questa mattina farà qualcosa di nuovo, di diverso, mangerà al tavolo coi suoi amichetti dell'asilo e, quando lo andrò a prendere, avrà le mani sporche di verde e mi accoglierà con un bellissimo sorriso. Torneremo a casa come al solito e lui si addormenterà beato sulla mia schiena durante il tragitto sul bus e sognerà Dio solo sa cosa. Sarà bello ritrovarsi tra qualche ora così: io avrò imparato che lui sta diventando grande (e nel mentre sarò riuscita a svuotare le valigie e a sistemare l'esplosione di cose che c'è in corridoio) e lui avrà capito di nuovo che la mamma torna sempre.
Certo che quello di stamattina è stato niente in confronto al momento della sua nascita: chi non vorrebbe passare la sua vita coccolato e cullato in un posto caldo, dove non manca mai il cibo, circondato dalla persona che ama? Poi ad un certo punto qualcosa decide che è ora di fare basta e si finisce scaraventati in un mondo enorme, senza confini, freddo, asciutto, rumoroso e luminoso. Un incubo praticamente. Ma dura solo un attimo, il tempo di ritrovare quelle braccia che in fondo conosciamo da sempre, quell'odore inconfondibile, quella voce che da sempre ci culla per sentirci di nuovo a casa.
Anche per la mamma il distacco non è facile: l'ha tenuto tutto per sè per nove mesi, portandolo ovunque, cullandolo e sentendolo tutto suo e poi ad un certo punto decide che basta, lui vuole uscire. E per farlo chiederà tutta la sua collaborazione, la sua pazienza, di portare al limite la sua testa e il suo corpo. E le verrà un po' da pensare "perché ci vuole anche tutto quel dolore fisico, oltre a quello del cuore?". Ma anche per te, mamma, sarà un attimo: lo sentirai scivolare via in un secondo, lo toccherai finalmente con le mani, lo appoggerai sulla tua pelle e ci si ritroverà nel mondo reale. Freddo, rumoroso, luminoso, enorme e bellissimo: ci saranno nuovi amori, nuove persone, nuove comfort zone. Altri mille distacchi e altri mille modi per ritrovarsi.

martedì, marzo 27, 2018

Due anni fa, in questi giorni, una delle mie sorelle era in ospedale ricoverata dopo un intervento al cervello che era piombato sulla nostra famiglia come il meteorite dello spot del Buondì. Senza la bambina sorridente.
Due anni fa, in questi giorni, io andavo in ospedale a passeggiare nell'anticamera di neurochirurgia insieme alle mie sorelle e ai miei genitori. Aspettavamo che qualcuno uscisse per dirci come era andata e come stava mia sorella. Passeggiavo con un paio di leggins neri che ho buttato via e una felpa viola a pois bianchi con Alice e il brucaliffo che avvolgeva me e il piccolo guerriero ancora nella mia pancia; sarebbe uscito da lì a poco meno di tre mesi.
Al nostro rientro a Torino ero preoccupata perché avevo uno dei primi controlli con la dietista e in quei giorni a Cesena avevo mangiato cose un po' a caso, compreso un gelato che mi ero guadagnata dopo una lunga passeggiata col programmatore.
Due anni dopo siamo andati a pranzo tutti insieme e abbiamo brindato a mia sorella che, oggi, è a due esami dalla laurea, ha un lavoro, un nuovo amore e una nuova vita.
Due anni dopo c'è un'altra sorella avvolta in quella felpa a pois: tiene al caldo se stessa e mio nipote, che nascerà in questi giorni e che probabilmente porterà- al maschile- il nome della sorella del brindisi di cui sopra.
E due anni dopo ci sono anche io, col piccolo guerriero che ormai vola verso i due anni e una iena tutta da coccolare e da rimettere in carreggiata. La dietista non la vedo da un anno e mezzo e, a tal proposito, vorrei raccontarvi una cosa divertente.
In questi due anni avrò dato il suo numero di telefono ad almeno una decina di persone, sia qui a Torino che a Cesena, come se questa ragazza fosse un luminare della materia in grado di fare miracoli. Come se fosse riuscita in un'impresa impossibile, che tutti gli altri avevano fallito. Io non so se tutti quelli che mi hanno chiesto quel numero abbiano poi davvero telefonato, preso un appuntamento e iniziato con lei un percorso. Quello che so è che io l'ho fatto e non l'avevo mai fatto prima: nessun altro prima di lei aveva fallito con me, semplicemente perché non ci avevo mai provato. La iena mi ha aiutata a capire che il fallimento ci fa paura: a volte è più facile dire a noi stessi che non siamo capaci, che non ce la facciamo senza neanche provarci. Se mi guardo oggi allo specchio invece penso che bisogna provarci, perché il fallimento è un rischio possibile, ma non inevitabile. 

martedì, febbraio 20, 2018


So che ultimamente non ho scritto molto e quel poco che ho scritto era tutto a tema piccola iena, ma il periodo non è dei migliori. Qui avevo scritto che nessuno poteva mettere la iena in un angolo, ma forse in questo anno e mezzo non ho lavorato molto bene in questo senso e adesso bisogna correre ai ripari, c'è un po' da lavorare, ma sono pronta ad impegnarmi per migliorare le cose.
L'altro giorno mentre il guerriero dormiva abbiamo tirato fuori il tangram: gliel'hanno regalato per il suo compleanno ed era ancora incartato sullo scaffale della sua camera da letto.
Abbiamo liberato il suo tappeto, ci siamo seduti a terra e abbiamo aperto la scatola: dentro c'erano due mazzetti di carte e 7 pezzi di legno verniciati di nero. I disegni sulle carte mostravano cosa si poteva realizzare con quelle semplici forme geometriche, se sistemate in modo opportuno.
Ho iniziato a far correre le carte tra le dita chiedendo alla iena cosa volesse provare a realizzare con quelle strambe costruzioni e lei invece ha voluto fare di testa sua: ha preso 4 pezzi, li ha messi un po' a caso e mi ha dato la sua interpretazione, proprio come fa ogni tanto mentre guarda una nuvola attraverso il finestrino dell'autobus. Ho iniziato un po' ad innervosirmi: quando si tratta di far lavorare la fantasia la iena è un portento, ma a volte ho la netta impressione che lo faccia perchè è meno faticoso. Sistemare dei pezzi a caso e vederci una cosa dentro richiede molta meno energia e meno concentrazione che cercare di capire come metterli insieme per riprodurre un'immagine già fatta, seguire le istruzioni, darsi delle regole. I set di lego piccoli che tanto ama cosa sono se non un insieme di regole da seguire alla lettera per ottenere un risultato? E allora le scatole di pezzi misti coi quali far lavorare la fantasia dove li mettiamo? Come si fa ad insegnare ai bambini che esistono delle regole da rispettare per ottenere un bel risultato, ma che a volte queste regole vanno un po' messe da parte per far lavorare la creatività?
Un quadro dell'ultimo Picasso ci fa venire voglia di dire "questo lo sapevo fare anche io", però poi ci ravvediamo e pensiamo che Picasso sapeva dipingere molto bene e quell'astrazione sulla tela è frutto di un lavoro lungo anni, uno studio che l'ha portato a quella cosa geometrica: conoscere perfettamente le regole del gioco e sapere come infrangerle per ottenere una cosa nuova, diversa, rivoluzionaria.
Alla fine, dopo una lunga discussione con la iena, siamo riusciti a seguire la regola e ad infrangerla, forse. L'ho convinta a copiare una figura delle carte facendole vedere quello che forse non era, ma che avrebbe sicuramente apprezzato. Abbiamo fatto la statua della libertà. O chissà cos'altro doveva essere nella testa di chi ha disegnato le carte. E ci siamo divertiti insieme.



lunedì, febbraio 05, 2018

Della piccola iena e dei suoi gusti musicali vi ho già parlato diverse volte in svariati post e, se vi ricordate bene, in questi giorni è stato il suo compleanno. E sono già 5.
Quest'anno ha chiesto di fare una festicciola coi suoi compagni di asilo- sabato prossimo ci sarà il party- e ieri in macchina con mio marito e i bimbi stavamo giusto discutendo della selezione musicale da proporre come tappetino di sottofondo. Questo pensiero sicuramente frivolo però mi ha fatto elaborare una serie di pensieri.
Il punto di partenza è stata l'oggettiva difficoltà a produrre una playlist adatta all'occasione rispettando i gusti musicali della iena che, per motivi fisiologici, al momento sono molto simili ai nostri. L'impresa non è proprio delle più semplici: occhiali rotti, la canzone dei cervelli, quella della piadina romagnola, la canzone del libro, l'uomo sulla luna, teresa e potrei continuare per ore sono canzoni adatte alla festa di un bambino di 5 anni? Diciamo che l'unica parola borderline che compare in questi testi è "tettine", che di per sè sarebbe anche passabile, ma quello che mi chiedevo è: sono canzoni adatte ad un pubblico di bambini? E il fatto che io le ritenga adatte a mio figlio non può andare bene anche per tutti gli altri? D'altra parte è la sua festa, mica quella dei suoi amici e la baby dance non l'ha mai apprezzata.
Sono ovviamente consapevole del fatto che non possa, a 5 anni, comprendere al 100% il significato di un testo a volte anche complesso, però non per questo non deve apprezzarne sonorità sia musicali che lessicali.
Questa riflessione mi ha innescato un ragionamento che, mi rendo conto, riguarda per lo più chi ha figli maschi. Vogliamo proteggere i nostri bambini dalla realtà raccontata in una canzone (la violenza, l'amore in tutte le sue sfaccettature, un evento storico o semplicemente la vita, con tutte le cose belle e brutte che la rendono reale), ma dall'altra parte, gli proponiamo una realtà inventata e, soprattutto, una violenza inventata fatta di fucili, pistole, bombe, proiettili e quant'altro: siamo proprio sicuri di quello che stiamo facendo? La iena per il suo compleanno ha ricevuto un robot telecomandato dotato di un mega fucile pluricanna: posso affermare con orgoglio che, alla soglia dei 5 anni, si tratta praticamente della prima arma che entra in casa e non è opera mia.
Al di là dell'arma "giocattolo" in sé ho notato che la vita nella comunità dei coetanei ha fatto nascere nella iena la voglia di fare giochi diversi dal solito; nei disegni che i suoi compagni di scuola gli hanno regalato per il compleanno un bimbo ha disegnato due pistole. Un bimbo di 3 anni nato e cresciuto a Torino, non un profugo di qualche paese straziato dalla guerra.
Quando la iena mi ha chiesto "perché dice "che mi staccasse la testa"?"- sono sincera- mi ha messa in difficoltà: aveva 4 anni e capiva perfettamente cosa volesse dire, ma non riusciva a contestualizzarlo. Questa violenza reale che riempie le pagine dei giornali e le copertine dei TG non è forse più "giusta" e più vera di un robot col fucile? Non merita di essere compresa anche da un bambino, proprio per essere contestualizzata e non soltanto emulata?
Quella canzone per me è una poesia, è una speranza, è una storia vera con un finale a sorpresa: forse un giorno qualcuno si metterà sul naso gli occhiali di Enzo Baldoni e vedrà una nuova realtà; è la vittoria dell'umanità sulla violenza ed è quello che mi fa sperare che un altro mondo è possibile.
Facciamo un passo indietro e torniamo alla selezione musicale della festa della piccola iena: ci saranno le belle bestie, qualche canzone dello zecchino d'oro che gli piace, la sigla di Mork & Mindy e anche qualche cantautore assortito più o meno datato (forse non vi avevo mai parlato della passino della iena per alcune canzoni di Paolo Conte :-)). Ah, e la colonna sonora di Ghostbusters, qualcosa di Sing, la canzone di Zack di School of Rock, la canzone finale di Cloudy with a chance of meatballs e, ovviamente, It's a long way to the top... If you wanna rock'n'roll. E la iena wanna do rock'n'roll.

lunedì, gennaio 15, 2018

Buon anno a tutt* :-) le vacanze ormai sono finite e devo dire che sono state davvero belle: ho potuto passare molto tempo con la mia famiglia e lo stesso posso dire dei miei figli. Ci ha fatto bene, soprattutto al piccolo guerriero, che è tornato a casa con nuova autonomia e grande carica per l'asilo: dopo mesi passati ad interrogarmi sulla bontà della scelta di iscriverlo al nido adesso finalmente ho avuto la risposta che cercavo e sì, è stata una buona scelta.
Propositi per l'anno nuovo ne abbiamo? Ovviamente sì- un lungo elenco- e magari piano piano deciderò di condividerli con il web. Il primo proposito era sistemare le mie borse.
Ultimamente mi sono appassionata ai video di youtube: scollego il cervello guardando 'ste ragazze che mettono in piazza la loro vita (o comunque quella che vogliono far credere tale), i loro acquisti (passerei ore a guardarle spacchettare vestitiscarpeeborse) e le loro collezioni di abiti e accessori vari. La mia collezione di borse non è esattamente come le loro: non ho una cabina armadio grande come un transatlantico dal contenuto, in termini economici, probabilmente comparabile col pil di qualche paese in via di sviluppo.
La prima borsa che mi sono comprata è ancora di là nel mio armadio, l'avevo presa all'upim ed è una cartella con una fantasia a fiorellini nei toni del rosso e del verde, molto tirolese.
La borsa più strana che ho è di jeans ed è una borsa a mano a forma di lumaca; l'ho comprata a Roma quando ci siamo andati per il nostro primo anniversario di matrimonio.
Per la borsa più costosa che mi sono comprata sono un po' indecisa perchè non ricordo esattamente i prezzi: una borsa Love Moschino che ho preso su saldi privati diversi anni fa (e che stavo anche pensando di vendere) e una borsa di tela Coccinelle che mi ero comprata per la Cresima di una delle mie sorelle (che ormai si laurea, questo per contestualizzare l'acquisto a livello temporale).
La borsa alla quale sono più affezionata... domanda difficile. C'è una borsa fatta con una vecchia coperta, un regalo di laurea delle mie amiche, l'ho usata fino a consumare la tracolla. Oppure una borsa di lana color ottanio che mi comprò mia mamma al mercato credo quasi 20 anni fa, compagna di moltissime avventure.
E la borsa più bella? Sono tutte belle, che domande. Però per fare una top 3 direi: la Gabs che mi sono comprata lo scorso inverno (il mio modello è un po' diverso, ha un manico solo e può trasformarsi in zaino, ma non trovo una foto), la Scarlet Virgo che presi ad una delle prime edizioni di San Salvario emporium e una borsa di tela color ottanio, un po' a fagiolone, con i profili di ecopelle marrone, un acquisto estemporaneo al mercato di Cesena.
Passarle in rassegna per sistemarle nell'armadio è stato come rivivere gli ultimi 20 anni di vita, soprattutto attraverso il loro contenuto: appunti presi durante i lavori fatti in Liguria, scontrini di ogni tipo, pacchetti di fazzolettini iniziati e mai terminati, due blister di benagol scaduti da anni, un burrocacao, una crema mani, qualche monetina, un paio di penne, biglietti dell'autobus, del treno, dell'aereo e di ogni altro mezzo di trasporto preso negli ultimi 10 anni. Ma soprattutto biglietti del cinema e del teatro. Tanti, troppi. Ricordo di un'epoca in cui mi ubriacavo di storie scritte da altri per vivere mille vite diverse. Adesso le storie me le racconta la piccola iena, che con la sua fantasia galoppante di quasi cinqueenne a volte mi lascia davvero senza fiato. E tutto senza dover fare un biglietto, anzi, come dice sempre la iena: paghiamo gratis.